5 aspetti per i quali scrivere “bene” è come un matrimonio

In questo articolo/post quest’oggi vorrei fare un parallelo fra due situazioni apparentemente distanti e non collegate fra loro – la scrittura e il relazionarsi sentimentalmente in maniera duratura – ma che a mio avviso condividono aspetti comuni profondi e rilevanti. In che cosa una relazione – e nello specifico quella che è sottesa a un matrimonio – e l’atto della scrittura narrativa si assomigliano? Cosa vi è sotterraneamente che unisce questi due aspetti umani?

Scrittura e matrimonio: un relazionarsi con l’altro/a

Scrivere e sposarsi – ma anche convivere in una relazione stabile e duratura priva unicamente dell’attestato matrimoniale ufficiale – si basano essenzialmente sul creare e mantenere una relazione autentica con un altro individuo, nel primo caso il lettore e nel secondo il/la partner. Ciò può sembrare forse una trascurabile ovvietà, ma questa caratteristica fondante e nucleica alla radice di entrambi è ciò che nel mondo reale fa la differenza fra un testo o un matrimonio “vivi” e un simulacro inerte, falso, già defunto in partenza degli stessi – destinati, perciò, all’inevitabile e doloroso fallimento.

Vi sono certamente delle differenze palesi fra la scrittura e l’unione matrimoniale; entrambe sono sì un relazionarsi, ma la prima è per definizione solitaria, unidirezionale verso il lettore e orbitante (quasi) unicamente attorno a chi scrive, mentre la seconda è l’intreccio bidirezionale di due coscienze individuali che abbiano deciso di condividere l’esistenza da un certo punto in poi; l’una necessita di conoscenze sia culturali che tecniche minime per poter essere intrapresa (anche se oggigiorno vi sono molti che si cimentano nella scrittura pur privi della capacità di attenersi ai più basilari requisiti di correttezza ortografica e sintattica, ma questo è un altro discorso), al contrario dell’altra, il cui unico requisito tecnico è l’aver raggiunto la maggiore età; e se scrivere è un’attività che può e per necessità deve avere pause nelle quali “staccare” un momento per dedicarsi ad altro, il matrimonio è un impegno continuo e costante che non può essere accantonato momentaneamente “per riposare” o “riprendere fiato”.

Ma cos’è il relazionarsi in un matrimonio o con un lettore?

Il relazionarsi così inteso – anche se ciò che seguirà sarà un tentativo di descrizione parziale e incompleto – è il creare e mantenere un rapporto fra due coscienze ontologicamente separate dal fatto di essere confinate in corpi distinti che vada al di là di un mero contatto superficiale riuscendo in una maniera quasi miracolosa a trascendere questa barriera fisica inattraversabile arrivando a toccare quella parte intima che, in mancanza di un termine più efficace, chiamerò qui anima – quella scintilla scientificamente non osservabile, intangibile, non misurabile né categorizzabile entro una definizione incasellante per e con la quale siamo e sappiamo di essere vivi, proviamo sensazioni non sterilmente oggettive e informatiche rispetto al nostro essere in questo mondo, riusciamo a percepire il bello e l’Arte, siamo in grado di amare irrazionalmente oltre ogni impulso biologico pre-programmato. Mi rendo conto che il successo nei due campi sia alla mercé di fattori esterni di natura molto diversa che possono influenzarne pesantemente la riuscita o meno sul palcoscenico del mondo, ma ritengo che alla base vi siano alcune costanti di natura più intima che vengono prima di ogni successiva variabile; sono 5 aspetti/caratteristiche/punti differenti ma a mio avviso connessi e gerarchicamente concatenati fra loro; vediamo quali sono.

1. Mai dare per scontato l’altro/a

L’errore più grande che si possa compiere in un matrimonio (o qualsiasi relazione duratura) è dare per scontato il/la partner. Di nuovo, pare ovvio – se vogliamo, con una certa dose di ironia, scontato – no?

Eppure il dare per scontato è un meccanismo che in ogni matrimonio, prima o poi, salvo casi rari, finisce per instaurarsi di soppiatto per tutta una serie di ragioni che possono plausibili e “naturali”, prima fra tutti l’abitudine; purtroppo, con il tempo, passata l’iniziale euforia tipica dell’innamoramento e della novità, accade che il fatto di essere uniti divenga un’abitudine, un fatto scontato come aprire il rubinetto certi che ne sgorgherà l’acqua; è qualcosa che accade anche nelle relazioni più salde e strette: dopo tempo, involontariamente, inconsciamente, si tenderà a dare per scontato che il/la partner ci sia, sia a disposizione, sia sempre e comunque al vostro fianco e che continuerà a rimanere lì come il sole o la luna nei cieli sopra di noi senza dover fare chissà cosa – dopotutto si è sposati, giusto? Sbagliato.

Allo stesso modo occorre, per poter sperare di scrivere “bene”, ossia autenticamente ed efficacemente, prestare attenzione al lettore; come una moglie e un marito non è detto che restino per forza al vostro fianco unicamente in virtù di quel “lo voglio” pronunciato di fronte alle autorità civili e/o all’Onnipotente, un lettore non vi leggerà per sempre soltanto perché in passato abbia letto, e possibilmente apprezzato, uno o più dei vostri testi.

Prima di far sì con la testa e proseguire vi chiedo di fermarvi un istante in modo da riflettere su e interiorizzare questo aspetto non proprio così banale che, come ho detto sopra, si viene spesso “fisiologicamente” a trascurare.

L’altro essere umano al di là del nostro corpo e della nostra coscienza intrappolata in esso è reale ed è diverso da noi; è diverso da ogni idea che ce ne possiamo fare; sfugge a ogni pattern che possiamo, consapevolmente o meno, attribuirgli nella ricerca  di una prevedibilità in egli/ella; è, come noi, una coscienza entro in un corpo, ma con idee, sensazioni, volubilità, emozioni, ragionamenti, desideri, timori, gioie, piaceri, ricordi, speranze propri e, per quanto simili, necessariamente diversi dai nostri; Scivolando anche inavvertitamente nell’atteggiamento del dare per scontato, quale che sia il motivo o la causa per quanto plausibile e comprensibile, si trasforma questo altro-da-noi vivo e reale in un oggetto alla nostra mercé – perciò in quanto oggetto calcolabile, prevedibile, subordinato ai capricci della nostra volontà. Non vi può essere deriva più sbagliata di questa in un matrimonio, come anche nella scrittura: trasformare interiormente in pietra qualcosa, qualcuno di vivo e vitale che in un momento della vita ha scelto di starvi accanto, presso un focolare domestico o attraverso delle pagine, rinnovando ogni giorno kierkegaardianamente tale scelta poiché sente di essere in una relazione egualitaria e libera fra due coscienze, due vite, due anime – ma poiché di scelta si tratta e non di vincolo, essa potrà, nel momento in cui questo qualcuno si senta “oggettificato”, quindi de facto “mortificato” (cioè “reso morto”, in quanto gli oggetti sono, per definizione, non-vivi), non rinnovarla più.

2. Rispettare l’altro/a

Potrebbe sembrare la solita amenità trita e ritrita ripetuta per ogni dove e che non significa alla fin fine nulla, ma, innestato sul e intrecciato al punto esposto sopra, ci si accorge presto di come sia un aspetto capitale, sia nelle relazioni durature che nella scrittura.

Ma che cosa significa effettivamente?

Significa semplicemente avere consapevolezza; tenere sempre presente che in un caso e nell’altro si ha a che fare con un altro essere umano, un’altra coscienza altra-da-noi con pensieri e sentimenti, pulsioni e sensazioni proprie quali quelle descritte sopra; ci diciamo spesso che siamo perfettamente e immediatamente in grado di metterci nei panni degli altri, ma ciò non è del tutto vero; calarsi nella prospettiva di un altro essere umano mantenendo i propri preconcetti non è rispettarlo, ma diminuirlo fino a renderlo una piccola caricatura di noi stessi – forse ancora peggio che un “mero” dare per scontato.

Rispettare significa trattare l’altro essere umano in relazione con se stessi come un essere umano adulto e autosufficiente e perfettamente in grado di esistere e sussistere e comprendere il mondo e le cose attraverso i proprio sensi e la propria mente senza di voi, o senza essere considerati come bambini o privi di qualche facoltà psicofisica fondamentale; significa trattarlo da pari, da entità senziente e libera dotata di libero arbitrio, volontà e intelletto indipendenti, propri e liberi.

3. Comunicare

Pare un’altra banalità che non abbisogna di spiegazioni, e probabilmente qualcuno potrà pensare che scrivere è già comunicare, come l’interagire quotidiano di una coppia sia già comunicare; di nuovo, le cose non sono così semplici, e per chi desideri scrivere “bene”, autenticamente, questo aspetto, come in un matrimonio, non è assolutamente da prendere sottogamba – o in maniera scontata.

“Cosa ti va per cena?”, “Hai portato fuori la spazzatura?”, “Bisogna lavare la macchina” e tutte le comunicazioni simili che avvengono tra due persone all’interno della quotidianità coniugale a lungo andare non sono per forza un comunicare davvero; divengono semplici interazioni, quasi di natura informatica, che avvengono nella quotidianità, diciamocelo, monotona e ripetitiva della vita minuta condivisa.

Comunicare con un altro essere senziente, con un altro essere umano , aprendo un canale che metta in contatto – pur momentaneamente – due interiorità che sono costitutivamente separate e non-comunicanti a causa del semplice fatto di essere “imprigionati” in due corporeità diverse e perciò ontologicamente estranee è un atto fra i più difficili da compiere in assoluto poiché quando riesce ad accadere è come se per un istante quest’invalicabile isolamento venisse meno e ci si percepisse dietro gli abiti corporei biologici e le maschere sociali calate su di essi; è quel momento sublime in cui ci sente non più così universalmente soli.

Un matrimonio e un testo che possano dirsi significativi e “vivi” non possono ignorare questo aspetto; quante volte si sente di matrimoni andati in pezzi a causa di problemi di comunicazione? Quanti libri, pur sovrabbondanti di parole, non dicono alla fin fine nulla?

Comunicare, in questo senso, è affine e collegato strettamente ai due punti sopra, poiché la comunicazione si offusca e s’interrompe spesso quando sopravvengono i problemi connessi ai fattori del dare per scontato e della mancanza di rispetto/consapevolezza; ciò che accade è che si finisca per rendere tutto implicito, non-espresso, dato-per-scontato-che-si-capirà/saprà.

Questo è un errore pericoloso, sia per un matrimonio che per chi scriva, poiché finirà per inaridire il suolo metaforico su cui è germogliato il rapporto con l’altro essere umano – il/la partner da un lato, chi legge dall’altro – in un avvitamento di incomprensioni crescenti acuenti una separazione sempre più profonda per il primo, e di pagine e pagine di cripticità, incomprensibilità, oscurità che allontanerà ogni lettore per i secondi.

4. Presenza

Un altro punto che occorre tenere a mente è la “presenza” o come si dice più comunemente “l’essere presenti”; detto così può, di nuovo, significare tutto e niente, ma in realtà ha una rilevanza più profonda di ciò che si possa pensare.

Generalmente l’essere presenti è qualcosa che si ritiene quasi automatico in un matrimonio e/o una convivenza: il fatto stesso di condividere giorno dopo giorno gli stessi spazi può creare spesso quello che diviene un senso illusorio di presenza, il quale, se non si è attenti e consapevoli, può sfuggire completamente dal proprio personale radar talmente a lungo da minare alla base l’intera relazione stessa; essere davvero presenti è altro; che richiede impegno e dedizione costanti, lavoro su se stessi, (auto)critica spietata, capacità d’analisi, lucidità mentale e – sì, suonerà terribilmente sdolcinato – tanto, tanto cuore e anima.

Non mi sto riferendo, ovviamente, all’aggettante presenza suscitata da un secondino o un cameriere troppo zelante, o un capo sadico – quell’incombere fisico e psicologico opprimenti che finiscono per pesare come un’ombra materica interiore; mi riferisco a quella sensazione, quella consapevolezza che vi è qualcuno accanto anche quando è distante, un qualcuno che vi considera come esseri umani, vi rispetta e tiene a voi.

Nel matrimonio è quella sensazione intangibile eppure robusta di sapere di poter contare sull’altro, di potersi aggrappare al/la partner anche nei momenti più disperati, il sapere che anche nelle situazioni più tragiche e difficili – come quelle più gioiose e felici – egli o ella, in qualsiasi caso, quale che sia la modalità, c’è.

Nella scrittura questa caratteristica fa la differenza; il cuore dell’autore infuso in un’opera verrà sempre avvertito dal lettore come una presenza immateriale ma decisamente “che c’è”; e non intendo quei testi in cui l’autore deborda in maniera egomaniacale, scritti ineccepibilmente o meno, ma quelli dai quali emerge la sensazione di avere accanto qualcuno a cui vorreste stringere la mano, che vorreste abbracciare, o con cui trascorrereste volentieri anche lunghi momenti di perfetto silenzio insieme – in sua presenza.

5. Dedizione

So che è un’altra di quelle parole abusate che possono svuotarsi di significato e diventare rappresentanti di nulla più che i suoni tramite cui viene pronunciata; ritengo però che questo sia un aspetto imprescindibile da, oltre che connesso singolarmente a, tutti i precedenti.

Ho scritto “dedizione” ma potete leggervi tranquillamente abnegazione e sacrificio; il sacrificio è quello del proprio ego che deve essere tenuto a bada poiché è cieco e vuole tutto il mondo per sé e tutti ai suoi piedi quando se ne perda il controllo; e tutti gli errori elencati fino a qui possono essere ricondotti a un vertere di più proprio su di esso, cioè su se stessi, fino a rimanerne intrappolati non riuscendo più a veder altro che una Volontà di Potenza nietzschiana dalla fame illimitata a spese di ogni cosa.

Con ciò non voglio dire che per avere un matrimonio “sano” o scrivere bene occorra trasformarsi in figure mistiche bonzi-esche che rinuncino a tutto e a qualsiasi tipo di reazione di qualsiasi genere (un’esagerazione opposta, a mio avviso); credo però che occorra, con fatica, costanza e impegno costanti – a volte insormontabili –, bypassare la modalità standard egocentrata che ciascun individuo possiede dalla nascita per divenire più consapevoli e, sì, forse anche più “spirituali” in un certo senso, maggiormente in grado di dare ed essere orientati verso l’altro essere umano.

È faticoso e difficile, e in certi momenti non si è in grado di farlo; non si riesce a non dare per scontato l’altro, non si riesce a comunicare con lui/lei, gli/le si manca di rispetto, non si riesce e magari non si vuole “esserci”, assordati dai vagiti strillati a pieni polmoni da un ego che si sente ferito o ingiustamente trattato da un mondo che non ne asseconda i desideri e gli interessi; ma bisogna tentare, tentare davvero ogni momento di ogni giorno di interrompere e contenere questo meccanismo primordiale; e il solo modo per poterlo fare, giorno dopo giorno dopo giorno senza rinunciarvi è, appunto, la dedizione.

Conclusione

Ripeto, questo parallelo qui proposto è forse azzardato, poiché la sfera sentimentale e quella della tecnica creativa hanno essenzialmente nulla in comune; ed è vero che nell’ambito tecnico della scrittura, pur riuscendo in qualche modo a rispettare le indicazioni di questa lista, se si è privi degli strumenti tecnici fondamentali, non sarà possibile pensare di realizzare qualcosa di valido/sufficiente; credo però che quanto esposto qui, se non potrà essere d’aiuto nell’avere successo con la scrittura, potrà comunque portare sicuramente giovamento alle vostre relazioni con gli altri – e con voi stessi – arrivando a salvare rapporti che parevano irrimediabilmente compromessi; forse sembrerà un po’ esagerato dirlo, ma tenere presente questi cinque punti potrà realmente rendervi esseri umani umanamente migliori. E in questo caso fidatevi, poiché è qualcosa che – sia nel bene che nel male – ho sperimentato in prima persona.

3 pensieri riguardo “5 aspetti per i quali scrivere “bene” è come un matrimonio

    1. Grazie di cuore per l’apprezzamento! Credo però che il merito maggiore di questo articolo vada a mia moglie, che mi ha fatto autenticamente capire e introiettare ciò che ho tentato di esprimere in questo post; perciò, rispettosamente, “girerò” questo complimento a lei. 🙂

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