Taccuini di vita postuma: 3. You either swim or you drown

L’insensato “dover fare”, l’affaccendarsi folle e psicotico-ossessivo che pare obbligatorio nell’equilibrio di alcuni rapporti di coppia è lo specchio dell’adulterazione della maniera in cui viene considerato l’impiego del tempo all’interno del mondo regolato economicamente. Il tempo “libero” – ossia l’altra faccia del tempo ceduto in funzione della contropartita retributiva aziendale – deve essere impiegato in maniera utile, ogni singola briciola di esso. Bisogna compulsivamente fare qualcosa, entro tempistiche che scimmiottano e riflettono nella sfera privata l’organizzazione del tempo in azienda. Time is money. Non bisogna sprecarne neppure un minuto in qualcosa che non sia percepito come utile, ovverosia generatore di utile. L’uomo o la donna che vessano il partner della coppia che ai loro occhi “non fa niente” sono i portatori e perpetuatori inconsapevoli dello status quo dei rapporti che reggono il mondo economicamente organizzato avallandone al contempo l’esistenza e la ragione d’essere. L’attività contemplativa è percepita e condannata come un insostenibile e insopportabile spreco all’interno di una tale coppia che viene ex abrupto condannato e sancito come punibile attraverso la minaccia perenne della dissoluzione della coppia stessa tale e quale alla tacita e inespressa postilla pendente sull’onni-interinalità inflitta ingannevolmente in nome dell’acefala e santificata opportunità. Nel mondo economicamente organizzato e amministrato, il diritto effettivo alla perpetuazione della propria vita/esistenza è subordinato all’obbedienza alle regole di produttività lavorativa per le quali viene corrisposto uno stipendio che permette materialmente l’effettiva perpetuazione della vita/esistenza stessa. Nei rapporti di coppia, l’affaccendarsi a “fare qualcosa” corrisponde all’obbedienza e alla cessione del proprio tempo alla produttività lavorativa aziendale e viene retribuito tramite la reiterazione del tacito accordo sentimentale quotidianamente ristipulato che determina e, di fatto, rende valida l’unione della coppia come tale prima di qualsiasi sentimentalismo sbiadito dalla condivisione dell’insaziabile, immortale debito minotauresco che pianifica ogni vita/esistenza individuale. Bisogna provare ogni santo giorno di essere utili e validi all’interno di una relazione così stipulata allo stesso modo in cui all’interno di un’azienda bisogna provare ogni giorno di essere utili allo scopo di conservare il rapporto di lavoro che il datore di lavoro ha stipulato con il prestatore di lavoro dimodoché questi possa inviare reiteratamente i fanciulli-denaro a saziare temporaneamente il mostruoso Debito che risiede nel labirinto del proprio incasellamento sociale obbligatorio nella struttura della realtà-così-com’è. Il tempo libero al di fuori degli obblighi lavorativi necessari è divenuto in questa maniera il prolungamento del tempo aziendalmente organizzato al di qua di ogni possibile simmetria focale di reciprocità equilibrante/armonizzante. La contemplazione, il galleggiare sur l’eau, “l’essere e nient’altro, senz’altra determinazione e realizzazione” sono lo spreco supremo da debellare come una malattia all’interno dell’organismo che si nutre dell’incessante “fare” orientato all’utile. Un foglio produzione entro cui modellarsi compiutamente. «Oggi ho fatto un sacco di cose!» La soddisfazione dell’impiego del proprio tempo in un fare compulsivo è la maschera atrocemente gaia sul volto dell’angoscia ansiogena del senso di colpa instillato dal mondo economicamente regolato e organizzato verso l’utilizzo massimamente profittevole del proprio tempo. Tale frase dovrebbe poter essere sostituita da «oggi non ho fatto niente; sono, semplicemente, stato/a» espressa con la medesima soddisfazione e pienezza ma priva del cancro interno di un senso di colpa schiavizzante subdolamente inflitto teso a null’altro se non all’accettazione totale e incondizionata, intima e privata, della deformata e deformante realtà-così-com’è.

Il titolo dell’aforisma riprende l’ultimo verso della canzone dei Chameleons UK intitolata “Up the down escalator”.
Nell’immagine: di Edvard Munch, “Aften på Karl Johan” (Sera sul viale Karl Johan), 1892, KODE 3, Bergen

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.